Menu Chiudi

Inzago – Casa Ugenti Sforza

Localizzazione: Via Roma, 5 – INZAGO

Casa Ugenti è in via Roma a Inzago

immagine

Foto 1 – Facciata di ingresso su via Roma

Foto 2 – cortile interno

Foto 3 – giardino di ponente

Foto 4 – meridiana

Descrizione

Giò Maria Catenazzo abbandonò la Valtravaglia e si affermò a Milano come mercante di lana e titolare di una vera e propria azienda in contatto con artigiani tessitori, cui forniva la materia prima e da cui rilevava le pezze tessute, che poi rivendeva non solo in Lombardia, ma anche a Genova, Napoli e Venezia.

Verso la fine della sua vita Giovanni Maria, molto probabilmente sotto l’influsso delle idee del figlio, investì buona parte del suo patrimonio liquido in immobili

Il figlio Carlo Santo († 1715), divenuto con i suoi fratelli titolare della ditta “Heredi Giovanni Maria Catenazzo”, proseguì nella liquidazione e trasformazione  dell’attività paterna da commerciale e protoindustriale in finanziaria.

Fu proprio l’occasione della cessione della bottega e del magazzino merci di Milano a metterlo in contatto con Francesco Caleri la cui famiglia aveva beni a Inzago, beni che, a seguito della morte del padre, erano stati suddivisi fra i sette figli e figlie.

Catenazzo con pazienza rilevò (1676) le gran parte delle quote ereditarie tra cui vi era anche la casa lungo l’attuale via Roma.

Carlo Santo, uomo particolarmente abile, si inserì successivamente in quella che probabilmente era l’attività più lucrosa del ducato: l’appalto della ferma del sale ovvero l’appalto della riscossione delle imposte.

Si trasferì a Venezia per lavoro e in età matura tornò a Inzago a fine secolo carico di contante.

Approfittò delle difficoltà economiche di alcune delle nobili famiglie milanesi con beni a Inzago costrette a vendere, e acquistò vari fondi (cascina Misana dei Reverta, cascina Rivera dei Moneta e il fondo Moneta a Bellinzago) e beni immobiliari nel borgo.

In quegli anni fu l’ispiratore della Redenzione dai vincoli feudali di Inzago (1691-94), trasformata in un affare personale attraverso il finanziamento dell’operazione.

Il primo testamento di Carlo Santo (1675), stilato quando si recò a Venezia, fa emergere che viveva allora con una vedova, non risposata probabilmente per differenza di ceto, madre di tre suoi figli che aveva fatto risultare prole di un prestanome e che in caso di sua morte ne riconosceva la paternità e nominava eredi del suo patrimonio.

Al suo ritorno in Lombardia sistemò la sua situazione famigliare, acquistò il feudo di Bisentrate per attestare la sua scalata sociale, ma nello stesso tempo, orgoglioso dell’attivismo imprenditoriale borghese.  

Nel 1679, Catenazzo aveva fatto demolire la vecchia casa Caleri e costruire la nuova: l’attuale Ugenti Sforza, perpendicolare alla via pubblica, con ai due lati giardino e ortaglia.

La villa era allora immersa nel verde, arretrata rispetto alla strada, e non vi erano corpi di fabbrica lungo la via.

La casa di Carlo Santo Catenazzo rimase invariata sino a fine Settecento.  Carlo Santo ebbe tre figli, ma questa generazione non fu affatto abile come il padre preferendo vivere di rendita e così iniziare quel processo di vendite sistematiche che svuotarono grandemente il patrimonio paterno.

A seguito della divisione dei beni la casa toccò a Giovanni Maria († 1764). che sposò Lina Rosa Alfieri da cui ebbe due maschi entrambi religiosi Antonio Benedetto e Filippo, e cinque femmine.

Giovanni Maria, anziano, prese gli ordini sacerdotali e nel suo testamento nominò eredi del fedecommesso i nipoti, figli del fratello Nicola, subordinando l’eredità alla accettazione da parte loro di tutte le disposizioni testamentarie tra cui ve ne è una relativa alla casa di Inzago e all’uso di essa da parte dei figli del testatore.

I nipoti eredi furono Giovanni Battista avvocato († 1789) e l’abate Giuseppe (1707-1796).

Nel 1765 l’abate Giuseppe rinunciò all’usufrutto sulla metà dell’eredità spettantegli sui beni di Inzago, Pozzuolo, Bisentrate e Truccazzano a favore del fratello Giò Batta in cambio di un vitalizio annuo, cinque brente di vino di Inzago e all’uso della casa di Inzago.  

Giò Batta era devoto e, contrariamente alla consuetudine per cui si abbellisce la propria casa, voleva avere “una immagine di divozione” in faccia alla propria abitazione per vederla meglio.

Nel 1767 ebbe l’autorizzazioni del Monastero di santa Caterina alla Chiusa di Milano, proprietario dell’edificio di fronte, a dipingere un affresco sulla loro facciata che rappresentasse il Sacro Cuore di Gesù, culto al tempo recentissimo.

Il matrimonio di Giò Batta fu improle e dopo due generazioni i Catenazzo si estinsero; al tempo la consistente eredità di Carlo Santo a Inzago si era ridotta alla casa avita e ad alcuni terreni.

Erede fu nominata la nipote Marianna Tizzoni sposata con Celso Mozzoni, figlia di Bianca Pirogalli e di Gabriele Tizzoni.

Tutta la proprietà di Inzago fu successivamente alienata (1803) al fine di costituire la dote per la figlia Francesca Mozzoni.

Acquirenti furono i fratelli Bartolomeo,Vincenzo e Ambrogio Brambilla di Gessate, ove tale famiglia aveva accumulato nel corso di secoli un notevole patrimonio fondiario.  

I fratelli Brambilla procedettero (1813) a una divisione e i beni di Inzago furono assegnati a Vincenzo Brambilla che si era frattanto sposato nel 1800 con Maddalena Villa di Inzago.

Si devono a Vincenzo, cui erano stati assegnati successivamente i beni di Inzago, padre di otto figli e che risiedeva stabilmente nel borgo, i grossi interventi edilizi sulla casa, consistenti nel raddoppio del corpo originario con la formazione al piano terreno di un grande salone e un portico, nel suo accorciamento verso nord per permettere la congiunzione dei due giardini e infine nella costruzione lungo strada di un altro nuovo corpo di fabbrica sul cui angolo fu posto il citato affresco ivi trasportato (1826) da Giuseppe Maria Franchetti, nuovo proprietario dell’edificio delle monache, a seguito della decisione di abbatterlo e arretrarlo.

In casa a Inzago i Brambilla avevano una raccolta di armature antiche, ora dispersa, e reperti lapidei tra cui una vasca di marmo contornata da rilievi di imprese sforzesche e una statua romana acefala.

Nessuno dei fratelli Brambilla ebbe una discendenza; i beni tenuti in comune furono ereditati dai superstiti.

Agostino, celibe e ultimo dei fratelli, lasciò l’eredità a una lontana cugina discendente da Bartolomeo Brambilla fratello del padre Vincenzo, Elena Tettamanzi († 1899) che per 35 anni aveva accudito i fratelli nel “disimpegno delle cure e faccende domestiche” della casa di Inzago.

La villa di Inzago fu ereditata dalla nipote Elisa Tettamanzi († 1950) moglie dell’avvocato Costantino Ugenti Sforza quindi dall’avvocato Federico (1900-1994) e successivamente è giunta in eredità al nipote Alessio.

Bibliografia

Ville di delizia e dimore storiche in Martesana – Edizioni Ecomuseo Martesana (2017)

https://drive.google.com/drive/folders/1KQfDhrdaUBv1A3PKrpYj8gZ7XQo4eTNe

Autore: Enzo Motta
Datazione: sec. XVII – inizio sec. XIX
Numero scheda catalogo heritage: